Il Colegio ai tempi del coronavirus

Nei suoi oltre 30 di storia il nostro Centro ha dovuto confrontarsi con periodi anche molto difficili, che  ha saputo sempre affrontare con grande responsabilità e razionalità. Ora facciamo altrettanto e come sempre continuiamo a lavorare, creare e produrre idee e materiale per la diffusione della lingua e della cultura iberoamericana, con la consueta attenzione alla qualità.

In questo momento di grande insicurezza, il nostro desiderio è proprio quello di essere ancora per voi un punto di riferimento affidabile e di permettervi di non rinunciare almeno alle certezze che riguardano le sane abitudini del studio ed alla formazione personale. Tutto il nostro lavoro si sta svolgendo seguendo con la massima cura quelle che sono le indicazioni delle istituzioni per fare lezione in sicurezza: frequenti sanificazioni dei posti di lavoro, gel igienizzanti, distanza di sicurezza, mascherine per gli insegnanti ecc. L’ampiezza ed il confort dei nostri locali, insieme al numero ridotto di partecipanti in ognuno dei nostri corsi, sono in questi momenti un punto di forza in più per voi e per noi.

Ci auguriamo di ritrovarvi a breve con la serenità e l’allegria a cui siamo abituati.

Nell’attesa vogliamo regalarvi un racconto di Eduardo Galeano, intitolato “Comunion”, che evoca un fatto reale accaduto a Montevideo, Uruguay, nel 1972, nel terribile cuartel noveno de caballeria dove il rumore delle mitragliatrici e il ruggito dei camion con l’arrivo dei prigionieri si sentivano quasi ogni notte. Il protagonista è Miguel Brun (Trinidad 1929 – Strasburgo 2007), che appartiene ad una generazione di giovani brillanti, che ha lasciato la sua impronta al di là delle frontiere uruguaiane.

Questa comunione spirituale fatta dai prigionieri di Montevideo ha un profondo senso teologico e permette di riflettere sulla Memoria e Identità al momento della riapertura dei luoghi di culto: che ad ognuno di noi sia concesso di vivere con senso vero ciò che celebriamo.

 

 

 

COMUNION

Al toque de diana, se levantaron todos.

Nadie había pegado los ojos en aquel inmenso barracón. Los presos habían estado de plantón hasta la madrugada después de una jornada de palizas y amenazas de fusilamiento, y corrían rumores de exterminio. Un preso recién llegado de Montevideo, que todavía no había perdido la cuenta del almanaque, informó: 

– Hoy es Domingo de Pascua -.

Los cristianos se pasaron la voz. Había que celebrar. Estaba prohibido juntarse, no se permitía ninguna clase de reunión,  fuese para lo que fuese, y en carne propia los presos habían aprendido que la prohibición no era ningún chiste. Pero había que hacerlo. Los demás presos, los que no eran cristianos, ayudaron. Algunos sentados en sus cuchetas, vigilaban las puertas de rejas. Otros formaron un anillo de gente que iba y venía, caminando como al descuido, alrededor de los celebrantes. Y al centro, ocurrió la ceremonia.

Miguel Brun susurró algunas palabras. Evocó la resurrección de Jesús, que anunciaba la redención de todos los cautivos. Jesús había sido perseguido, encarcelado, atormentado y asesinado, pero un domingo como éste, había hecho crujir los muros, y los había volteado, para que toda prisión tuviera libertad, y toda soledad tuviera encuentro.

En el barracón no había nada. Ni pan, ni vino, ni vasos quisiera. Fue la comunión de las manos vacías. Miguel ofreció al que se había ofrecido: 

– Comamos – susurró – Éste es su cuerpo -.

Los cristianos se llevaron la mano a la boca, y comieron el pan invisible.-

– Bebamos. Ésta es su sangre -.

Y alzaron la ninguna copa, y bebieron el vino invisible. Después, se abrazaron.

 

 

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