Una cubana diversa

Estate, vacanze, mare …Cuba !

Nell’immaginario collettivo questa sequenza evoca bellissimi luoghi, persone ed esperienze: colori, musica e donne stupende. Non è certamente usuale andare al di là degli stereotipi e pensare ad una Cuba al femminile con un serio impegno sociale, politico e culturale. Proprio per questo oggi vogliamo presentare in breve la figura ed il pensiero di Daylins Rufin Pardo, docente di teologia e pastora della Fraternità di Chiese Battiste di Cuba, attraverso alcune risposte da lei fornite durante un’intervista realizzata da Mauro Castagnaro e pubblicata su RIFORMA.IT il 2 agosto 2018, intitolata “La resilienza come marchio”.

 

 

Che significa testimoniare la fede cristiana nella Cuba socialista ?

“Non significa discriminare per ideologia. C’è una differenza tra il non condividere certi antivalori ed annullare il diritto di un’altra persona solo per le sue idee partitiche. Vivere la fede cristiana a Cuba esige questa apertura di pensiero, soprattutto perché la sua assenza ha fatto male al corpo sociale ed al corpo di Cristo che siamo stati a Cuba dal 1959 ad oggi. Non possiamo vivere la fede senza cercare di trovare punti comuni con l’altra e l’altro sulla base più dei  valori e meno del credo, perché ciò significherebbe riprodurre e rafforzare la stessa ideologia di partito che non vogliamo né come società né come Chiesa e che in entrambi gli ambiti  – sociopolitico e socioreligioso – abbiamo per molti aspetti superato. La testimonianza cristiana non può essere resa concreta senza inclusione, senza accettazione della pluralità che ci costituisce come persone, come Chiese e come popolo, senza capire che “tutti gli uomini sono uguali perché sono diversi” e che costruire una Cuba migliore trascende le ideologie di partito, è un dovere civico ed un nostro diritto umano come popolo. Orientare la vita cristiana senza tener conto dell’alterità porta con sé un enorme pericolo colonizzatore. In un contesto segnato  da memorie di liberazione, come quello cubano, sarebbe un peccato non essere sensibili a questo pericolo ed ai suoi effetti”.

 

Che significa essere una pastora a Cuba ?

“E’ un privilegio. In primo luogo perché il maschilismo, che è il volto del patriarcato a Cuba, impera al punto che pochissime donne possono esercitare un ministero di uguali nelle loro denominazioni. In secondo luogo, perché il modo in cui questo influisce sull’immaginario delle cubane e dei cubani, di altre religioni o di nessuna religione, è una sorpresa, e quasi sempre piacevole. C’è molta curiosità e grande vicinanza verso noi pastore da parte della gente. La possibilità di relazione  e di condivisione della fede, della vita nella fede e dell’impegno per viverla in un ministero impegnato è un bellissimo regalo di Dio. Infine perché permette di elaborare una teologia in cui anche il volto femminile di Dio sia reso visibile e si possa mostrare pure un modo di leggere le Scritture in cui le donne del movimento di Gesù e molte cristiane nella storia siano restituite nella dignità, menzionate, ri-cordate … cioè, tornate a passare attraverso i cuori di gente nuova”.

 

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