“L’ultima volta”

 

La vita sportiva di un calciatore scorre via veloce come il concerto di quella band che ci fa sognare e segue il ritmo di inevitabili ultime volte. E così è stato anche per Diego Armando Maradona: l’ultima partita con la maglia del Napoli, l’ultimo gol con la nazionale argentina, l’ultima partita in carriera, l’ultima presenza con la maglia albiceleste, l’ultimo gol su punizione e così via. Alcune di queste, come l’addio al calcio professionistico, sono delle ultime volte “annunciate” e portano con sé la solennità di un ultimo giro, di un’ultima corsa. Altre, invece, come l’ultimo gol su punizione, diventano ultime volte solo col passare del tempo, fino a quando Maradona non avrà più segnato un gol su punizione. Ma nel momento in cui succede, quello è un gol su punizione come altri, perché ce ne saranno ancora. E’ così nella vita di ognuno di noi, di ultime volte “inconsapevoli” ce ne sono a centinaia, ed io, personalmente, sono arrivato alla conclusione che è meglio essere all’oscuro che quello è il nostro ultimo gol su punizione, il nostro ultimo Natale con tutta la famiglia riunita, l’ultimo saluto al migliore amico, l’ultima volta che abbiamo guidato la nostra prima macchina.

In ogni caso, tutte queste ultime volte della vita calcistica di Maradona hanno avuto un rettangolo verde come proscenio e migliaia di persone sedute in platea (allo stadio come a casa) e tutte possono essere riviste su YouTube. Eppure, nei giorni che hanno seguito la sua morte, nessuno ha parlato dell’ultima volta più importante della vita di Maradona, forse perché non ha avuto un palcoscenico su cui il mondo si potesse affacciare, una piccola fessura dalla quale poter sbirciare. Invece esiste, o meglio è esistita, l’ultima volta che Maradona ha calciato un pallone, l’amico più intimo e fidato, quello che avrebbe stoppato di petto al suo matrimonio, quello a cui  il suo piede sinistro ha fatto assumere traiettorie metafisiche. Nessuno dei due, Maradona ed il pallone, sapevano in quel momento che non si sarebbero più visti, in quel costante atto di fede che è la vita. Non esistono filmati, non è stata organizzata nessuna partita d’addio di Maradona al pallone, rimarrà un momento intimo, uno dei pochi in assoluto della vita del dio argentino.

Allora ho provato ad immaginare come si è consumato l’ultimo incontro tra il piede sinistro di Maradona ed il suo amico più caro, il pallone da calcio. Quando sarà stato ? Come ? Il giorno del suo ultimo compleanno ? Magari durante una partitella improvvisata organizzata nel suo giardino di casa, uno stop a decretare la fine delle danze, “Sono troppo stanco, basta così.” E il pallone incollato sotto il piede, come in uno di quei tanti frame e foto che lo ritraggono in quella posa. Oppure ancora, qualche giorno prima, tornando da una passeggiata, un tiro sbagliato proveniente da un campetto lì vicino termina la sua corsa proprio davanti a lui. Maradona, per raggiungere il pallone, accenna quello che per lui dovrebbe essere uno scatto, ma che da fuori assomiglia più ad un tentativo maldestro di rimanere in piedi: il pallone è lì, fermo immobile sul marciapiedi, ma è come se fosse adagiato sul dischetto del rigore o sul quarto di luna del calcio d’angolo. Lo guarda, sorride. Alza gli occhi e incrocia la gioia straripante dei ragazzi del campetto, che nel frattempo lo avevano riconosciuto. “Olè olè olè olè, Diego, Diego”, ma è tutto nella sua testa. E allora con un gesto ripetuto chissà quante volte, il suo piede va a colpire per l’ultima volta quel pallone che, con una danza sublime, supera la barriera di auto parcheggiate davanti al campetto e le recinzioni, per poi colpire la traversa, esattamente come aveva pensato e voluto.

Invece no. Alla fine mi piace credere che sia andata così. La mattina del suo ultimo giorno Maradona si sveglia per andare a fare colazione, mangia qualcosa, ma si sente ancora troppo stanco e decide di tornare a riposare ancora un po’. Nel tragitto che separa la cucina dalla camera da letto vede un pallone, è sporco di fango. La stanchezza cede alla voglia, come spesso nella sua vita: con pochi passi pesanti Maradona è lì davanti al suo amico. Uno-due, destro-sinistro e la palla è già in aria. Maradona inizia a palleggiare, le forze sono magicamente ricomparse: spalla destra e poi spalla sinistra, testa e poi piede sinistro, la palla non cade mai. “La-la-la-la-la-la-la, live is life”, ma è ancora tutto nella sua testa. Decide di arrivare in camera così, danzando con il pallone senza mai farlo cadere per terra. Tacco-tacco-sinistro-destro-spalla-ginocchio-ginocchio-sinistro-testa-testa-sinistro. Ci siamo, il letto è lì e tutto d’un colpo le energie vengono a mancare. Bam. Con tutta la forza rimasta, il piede sinistro scaglia il pallone verso il cielo, in aria. La palla trapassa il soffitto: l’azzurro del cielo è accecante, come lo è stato quello più intenso del Napoli e quello più chiaro dell’Argentina. Maradona, col naso all’insù, non riesce a scorgere più il pallone.

Adesso è davvero troppo stanco: si distende nel letto, gli occhi ancora oltre il soffitto a cercare il pallone che è sempre più in alto e sembra non voler scendere più.  “Nos vemos pronto”, sussurra Maradona prima di chiudere gli occhi. Per l’ultima volta.

Federico Cembalo

 

 

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